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Vita Comunitaria

Chiesa parrocchiale di Santa Croce

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La Chiesa Parrocchiale di Santa Croce si trova nell’ omonima frazione sermidese lungo la strada che congiunge Sermide alla ex statale Virgiliana, ora strada provinciale di collegamento fra il mantovano e il ferrarese. La singolarità di questa chiesa è già presente nella sua posizione: leggermente isolata rispetto al paese, con la facciata rivolta ad ovest verso la campagna, presso il canale Lagurano a cui è associato il nome della località (Santa Croce in Lagurano), un canale di scolo oggi poco profondo ma anticamente indicato come “luogo del miracoloso evento che ha segnato l’inizio della vita religiosa di questa comunità”. (1)



La leggenda è un altro elemento che la caratterizza: l’origine della chiesa è infatti tradizionalmente legata alla storia del pellegrino cieco Giovanni Cuoco partito da Felonica per Gerusalemme sperando di riottenere la vista; qui ricevette da un eremita una croce che, una volta tornato, portò in processione sul Lagurano dove la legò ad un salice che si sviluppò con foglie a forma croce. Il cieco riebbe la vista e da allora gli abitanti della zona iniziarono a visitare il luogo della croce per essere miracolati. (2, 3)

Gli affreschi dell’abside, che illustrano il pellegrinaggio di Francesco Cuoco con, sullo sfondo, un’ immagine riconducibile all ’abbazia felonichese, sono l’ulteriore aspetto della tipicità di questo luogo di culto.

La leggenda che si associa all’ipotesi della fondazione della struttura di Santa Croce per iniziativa dei monaci benedettini di Felonica è plausibile: Santa Croce avrebbe potuto avere un legame con l’ abbazia felonichese di santa Maria come suo aggregato agricolo della tipologia della “grangia” ma negli elenchi delle proprietà dell’abbazia felonichese, documenti dell’ Archivio Storico Diocesano di Mantova, non vi è alcun riferimento a proprietà felonichesi site in Santa Croce.

La bibliografia storica, alla quale rimandiamo, (link) che dalla fine dell’ ottocento agli anni settanta del ‘900 ha cercato di spiegare la nascita della chiesa di Santa Croce collegandola ai monaci benedettini felonichesi, allo stato attuale delle ricerche non trova dunque conferma.

Recenti studi di G. Freddi dimostrano d’altra parte che già negli anni sessanta del Quattrocento, periodo di presumibile inizio della costruzione della chiesa di Santa Croce, l’ abbazia di Felonica era priva di monaci residenti. (4)

La data di consacrazione dell’edificio da parte del Cardinale Francesco Gonzaga sembra risalire al 10 ottobre 1479 secondo l’interpretazione del Mantovani basata su documenti esistenti nell’archivio parrocchiale di Sermide. (5)  Nel 1544 la chiesa risulta “sub cura ecclesiae Sermedi” e a questa data fa riferimento la visita pastorale commissionata dal Cardinale Ercole Gonzaga, il primo documento che riporta una descrizione dell’edificio. (6)

La chiesa di Santa Croce, dopo molte richieste, diventa parrocchia autonoma il 1° novembre 1965 quando il vescovo Mons. Antonio Poma firma il decreto col quale Santa Croce di Sermide viene “eretta” in Parrocchia.

UNO SGUARDO D’INSIEME ALLA CHIESA

La struttura esterna

L’ epoca di costruzione della chiesa, stando all’ architettura, risale alla fine del Quattrocento o agli inizi del Cinquecento ma vanno considerati gli interventi avvenuti nel corso del tempo e in modo particolare nel secondo dopoguerra.

La facciata è a capanna, tripartita da tre arcate cieche poggianti su contrafforti; al centro il portale d’ ingresso, sovrastato da una lunetta, ai lati sono presenti due nicchie. L’ abside , fino all’ innesto del campanile, è segnata da profonde arcate poggianti su contrafforti con un motivo, tra arco ed arco, dato da loculi ciechi.

Pur senza particolari competenze tecniche si può notare che la parte absidale è stata meno toccata da rifacimenti e restauri. Anche il campanile appare esternamente meno rimaneggiato. La struttura è un parallelepipedo rinforzato dal tetto fino a terra da contrafforti; le cornici superiori disegnano un motivo “a denti di sega”. Dalle bifore della cella campanaria si intravedono le tre campane settecentesche, dono “Elemosinis Piorum Sermedi”.(7)

La parte che va dal campanile alla facciata inclusa è invece sostanzialmente nuova, pur richiamando gli elementi architettonici dell’abside.

I rimaneggiamenti esterni più consistenti risalgono al 1947 con l’attuazione del “progetto di riordino”, proposto alla Commissione Diocesana d’arte sacra, dell’arch. Bruno Sarti, come compare sia dai confronti fotografici sia dai disegni tecnici. “Cambia il sistema di aperture e di accessi”: sul lato esterno sinistro della chiesa (guardando la facciata) viene tamponata la porta laterale di accesso al coro dell’abside con rimozione della relativa scala e vengono aperte quattro finestre arcuate al posto delle due cinquecentesche con architrave rettilineo. Inoltre va osservata la costruzione della sacrestia addossata al campanile con le lapidi dei “caduti per la patria”.

Sulla parete destra vengono aperti il battistero e la cosiddetta ”cappella feriale”.

La chiesa, risalente alla fine del Quattrocento-inizi del Cinquecento, come già osservato, presenta una navata con presbiterio ed abside che dovrebbero risalire al medesimo periodo. (link)

Nel tempo anche l’interno ha ovviamente subito molteplici cambiamenti rispetto alla struttura originale e la configurazione attuale risente di due interventi sostanziali: il primo, già sopra indicato, è quello del 1947, tendente sia a “svecchiare” l’edificio sia a recuperare, per quanto possibile, la vecchia struttura della chiesa; il secondo è quello del 2000 riguardante il restauro degli affreschi absidali cui si deve la valorizzazione di questo singolare edificio di culto.

A seguito del progetto dell’ arch. Sarti viene ricostruita la prima campata a crociera del presbiterio, in misura più corta di quella antica e delimitata da un nuovo grande arco con lesene e capitelli, come riporta nel suo scritto S. Savoia e come si può notare nell’immagine sottostante. (8)

Sulla destra della porta d’accesso viene ricavato un piccolo battistero, che attualmente ospita la statua di una Madonna con Bambino, in quanto in anni più recenti il fonte battesimale è stato collocato presso l’altare. Più avanti, in corrispondenza con l’inizio del presbiterio ma più bassa rispetto ad esso, è stata aperta una cappella, ben visibile anche dall’esterno, detta “cappella feriale”, come già osservato. Sulla parete di sinistra viene ricavata la sacrestia che, all’esterno, riporta le lapidi dei caduti già menzionate.

L’ interno della chiesa si era arricchito nel corso dei secoli di decorazioni, altari laterali, arredi fissi, e suppellettili; ne è testimonianza una fotografia degli anni trenta, nel periodo del sacerdozio di Don Tirabassi, che mostra una chiesa con arredi barocchi, dominata da un grande altare in legno dorato che occulta il ciclo degli affreschi absidali.

Con il progetto Sarti vengono rimossi l’ altare barocco e quelli laterali. Successivamente, negli anni 60, a seguito delle indicazioni del Concilio Vaticano II, sono stati introdotti gli elementi legati al diverso rapporto fra celebrante e fedeli, fra cui l’attuale altare.

La casa “curiaziale”

Prima del 1933 esisteva un vecchio edificio di residenza dei curati costituito da due camere, un portico, una cantina ed altri annessi di servizio: il catasto teresiano (1777)  ne mostra la planimetria; una cartolina di inizio novecento illustra l’aspetto esteriore di questa modesta costruzione ubicata presso i cancelli d’ ingresso alla chiesa.

Il progetto della nuova casa fu ideato dall’ ing. Dimo Cavallini, allora podestà di Sermide, e l’ abitazione fu benedetta nel 1933 da mons. Ruberti.

Emblematico il commento di Ida Muzio che chiarisce il clima sotteso a questo intervento ed ai successivi lavori della chiesa: secondo la Muzio l’ esterno della casa curiaziale richiama la chiesa dalla quale dista una ventina di metri e “la sua vicinanza ad essa la fa sembrare una costruzione d’ epoca e ne accresce il decoro” (9)

LE OPERE DI PREGIO ARTISTICO

GLI AFFRESCHI

Gli affreschi absidali della chiesa di S. Croce, risalenti alla seconda metà del Quattrocento-inizio Cinquecento, e recuperati nel 2000 dalla restauratrice Elga Malago’ a cui rimandiamo per l’attività svolta (10), sono le opere di pregio che caratterizzano l’interno della chiesa: si trovano sulla parete e sul catino dell’abside, nell’arcata tra abside e presbiterio, sui pilastri d’imposta dell’arcata e sulle due pareti del presbiterio.

Essi sono stati descritti da più osservatori nel corso dell’800 e del ‘900, fra cui i critici Amadei, Portioli e Matteucci e in particolare da G. Pastore che li cita nel suo studio sugli affreschi di Santa Croce, a cui facciamo riferimento. (11)

Gli affreschi dell’abside sono suddivisi in due comparti orizzontali, inquadrati da due lesene dipinte a finto marmo, separati da iscrizioni centrali collocate in partiture di dimensioni diverse; un’ altra iscrizione è disposta in senso orizzontale sotto l’affresco di sinistra mentre è quasi del tutto scomparsa la scritta sotto l’affresco di destra.

Essi costituiscono il racconto per immagini della storia del pellegrinaggio di Giovanni Cuoco cui la leggenda attribuisce l’ origine della croce che denomina la chiesa stessa. Nel comparto di destra il pellegrino è raffigurato nel momento in cui riceve la croce a Gerusalemme, mentre nel comparto di sinistra è raffigurato mentre lega la croce ad un salice, traghettato sul Lagurano al suo ritorno. In entrambi gli affreschi sono presenti particolari paesaggistici (mura, chiese e torri di Gerusalemme; gruppi di alberi ed edifici sparsi delle campagne di S. Croce), con figure di contorno (il giovane dormiente nel riquadro di destra; contadini, popolani ed ecclesiastici quasi in processione in quello di sinistra). Secondo il Savoia ”nella semplicità dell’impianto e nella vivacità d’esecuzione, l’affresco risponde ad un programma figurativo ben preciso”; l’affrescante non sembra essere un pittore girovago, come tanti nell’ area mantovana, ma piuttosto un pittore artigiano, incaricato da qualche famiglia nobile della zona, abbastanza colto, attento all’ espressione dei volti così come alla rappresentazione dei dati ambientali.

Gli affreschi dell’ arcata tra l’abside e il presbiterio: l’intradosso dell’arco (sottoarco) presenta prevalentemente una decorazione fitomorfa, con frutti che richiamano i prodotti della terra del luogo (grappoli d’uva, zucche, mele, melograni..), quasi a formare un elemento decorativo vicino all’altare “con una valenza quasi di offertorio”.

Sullo spessore che determina l’arco sono dipinti angeli: putti in diverse pose con nastri colorati che accompagnano il movimento del corpo, con espressioni ridenti. La parte centrale, in corrispondenza della chiave di volta, deteriorata nel tempo, è priva di raffigurazioni.

Gli affreschi dei pilastri: sulla superficie frontale del pilastro d’imposta verso la parete nord-ovest, contornata da un’incorniciatura gialla, è raffigurata l’immagine di S. Giovanni Battista, di cui non è più possibile leggere i tratti del viso, coerente con l’iconografia consueta del Battista come messaggero e annunciatore di Cristo. Nella superficie interna del piedritto è invece effigiata una tenda che inquadra un calice con l’ostia in evidenza che suggerisce appunto una esaltazione dell’ Eucarestia.

L’affresco del pilastro d’imposta verso la parete sud è più difficilmente leggibile per il precario stato di conservazione. Si tratta di un dipinto che ripete il modulo della figura di G. Battista: la figura effigiata è quella di Gesù coperto da un lungo manto. Con la presenza delle due figure si può pensare che l’affrescante abbia voluto richiamare il Battesimo di Cristo anche se disgiungendo le figure su due superfici diverse.

Nella superficie interna è effigiata la figura di Sant’ Alberto. Il santo, con l’abito carmelitano, è proposto con gli attributi tipici della sua iconografia: il crocifisso e il giglio, simbolo della vittoria sui sensi.



Gli affreschi della parete nord-ovest del presbiterio

Gli affreschi appaiono progettati come un’ enorme pala d’altare a più riquadri: in alto un’immagine di Maria con il Bambino; appena sotto, come figura centrale, si trova la raffigurazione di S. Carlo Borromeo in adorazione del Cristo crocefisso. Questo affresco è databile ai primi decenni del XVII sec.: ” L’esecuzione sommaria, la scarna gamma coloristica e la debolezza espressiva nella delineazione della figura di S. Carlo indicano la mano di un mestierante di bottega”. (12)

Nello spazio inferiore, a sinistra e a destra del S. Carlo, troviamo due immagini: a sinistra è raffigurato San Sebastiano”, protettore contro la peste, affresco risalente al 1530 circa, rappresentato secondo l’iconografia corrente, legato ad un albero, con il corpo trafitto da frecce e il perizoma che scende più movimentato sulla gamba sinistra. L’immagine del santo si impone per il suo “andamento monumentale” e

nell’ impostazione generale richiama il San Sebastiano della chiesa di Sermide. Lo sfondo, nella porzione più bassa, riprende elementi paesaggistici.

A destra si trova una seconda Madonna con Bambino risalente anch’essa al 1530 circa. “La composizione affrescata riprende una tipologia tipicamente devozionale”; la madonna infatti, molto giovane col volto reclinato che sembra osservare il fedele, mostra con semplicità e pare quasi con incredulità il figlio che tiene sulle ginocchia. L’affresco, riconducibile allo stesso periodo di quelli già indicati, non è completamente leggibile per i guasti del tempo.

Gli affreschi della parete sud del presbiterio:

Anche per questi affreschi si offre una composizione complessiva simile a quella della parete nord-ovest. Qui si impongono, sia per il tema sia per lo stato di conservazione, la raffigurazione del voto di erezione della chiesa di Santa Croce a sinistra e la figura di San Rocco a destra.

Secondo il Portioli l’affresco che celebra l’edificazione della chiesa di Santa Croce era accompagnato da un’iscrizione, non più esistente, che lo faceva risalire al 1513 "e al suo committente Sigismondo Gonzaga, cardinale dal 1506, e vescovo di Mantova, dal 1511 al 1521. L’affresco dipinto risponde ad una mentalità devozionale ed a un gusto popolaresco. La raffigurazione privilegia il rapporto della Madonna con la chiesa di S. Croce, risolto collocando l’imponente figura in piedi sul tetto della piccola chiesa” a sottolinearne la protezione della vergine.

A destra è raffigurata l’immagine di San Rocco di Montpellier che mostra con la mano sinistra la gamba scoperta con la piaga della peste contratta e si appoggia al bastone da pellegrino: il dipinto richiama per imponenza e struttura il San Sebastiano della parete di fronte da cui si differenzia per la presenza dell’abito e per lo sfondo paesaggistico più ampio anche se molto elementare.

Il culto popolare nei suoi confronti è “legato al suo ruolo di protettore contro le malattie del bestiame, le epidemie e in particolare contro la peste”. Il legame con il S. Sebastiano è in tal modo confermato.

Nella chiesa di Santa Croce è conservato un altorilievo in terracotta: la Deposizione, opera della seconda metà del XV sec. di Elia della Marra. Secondo il giudizio di diversi osservatori fra cui in particolare M. Palvarini Gobio Casali (13), cui facciamo qui riferimento, l’opera “costituisce una rara e pregevolissima testimonianza in terra mantovana di questa pratica devozionale che in occasione del Venerdì Santo celebrava il momento finale della Passione di Cristo: il disperato pianto intorno al cadavere di Gesù staccato dalla croce, prima di venire deposto nel sepolcro…”.

La scena raffigurata nel rilievo segue la narrazione evangelica degli apostoli Matteo (27, 57), Marco15, 46, Luca (23,51), Giovanni (19, 37). Alcuni dei personaggi sono facilmente riconoscibili per gli attributi che li connotano: al centro la figura sdraiata del Cristo sul quale è china la Madonna, mentre gli tiene la mano, con a fianco Maria Maddalena e, alle spalle, Maria di Cleofa ritratta in un’ espressione di forte intensità. Sulla sinistra il vecchio Giuseppe d’ Arimatea che solleva la testa del Cristo, la figura più eretta di Nicodemo e un terzo personaggio unito nel compianto; sulla destra l’apostolo Giovanni con un'altra figura a capo chino alle spalle di Maria e di Maddalena. Sullo sfondo è rappresentata in modo essenziale la Croce mentre nella parte sottostante della terracotta si legge ancora la firma dell’autore.

Sulla provenienza di questo rilievo non ci sono notizie prima del 1575, anno in cui nell’ inventario dell’ arredo presente nella chiesa, redatto durante una visita pastorale, è indicata una terracotta con “la sepoltura del Salvatore posta in un decoroso altare ligneo”. L’attività della modellazione e cottura dell’argilla godette nei secoli di una fiorente tradizione locale dato che questa risorsa era facilmente reperibile e fra i “plastificatori” della zona andrebbe ricercato il maestro Elia. Il suo nome appare in una lettera presentata dalla comunità di Governolo al marchese Ludovico Gonzaga (febbraio 1464) da cui si apprende che Elia dalla Marra forniva nel 1464 un rilievo in terracotta (anche se forse non lo stesso di Santa Croce) e quindi era attivo in zona; non compare però fra i ceramisti né tra i proprietari di botteghe. L’opera rientra comunque nella categoria tipologica della “Deposizione” che in area veneto-lombardo-emiliana, quindi padana, prese la forma di gruppi scolpiti in pietra, legno e terracotta da porre come Pietà da contemplare durante la preghiera…”

La “Via Passionis” di Andrea Jori

Nel 2002 la chiesa si arricchisce con le 14 formelle formanti la Via Crucis che l’autore, lo scultore Andrea Jori, (link) ha definito” Via Passionis” e alla quale è stato dedicato un significativo commento analitico per ogni formella al quale rimandiamo. (14)

Concludiamo il “viaggio” nella chiesa di Santa Croce con la nota del vescovo Egidio Caporello che, nell’ introduzione al volumetto di presentazione della “Via Passionis”, a proposito della chiesa di Santa Croce così si esprime:  ”Altre volte ho fatto vero pellegrinaggio a questa nostra “ICONA” del basso Mantovano….sempre riscoperta di un patrimonio di fede e di arte”.

Note bibliografiche

(1) Stefano Savoia (a cura di), (link)  La chiesa di Santa Croce in Lagurano, editoriale Sometti Mantova, 2000.

L’opera, alla quale facciamo ampio riferimento, raccoglie i contributi critici di diversi autori relativi alla chiesa di Santa Croce: G. Fiorito, R. Signorini, S. Savoia, S. Siliberti, M.R. Palvarini Gobio Casali, N. Zanini Morselli, G. Pastore, E. Malagò.

L’autore ricorda tra l’altro che le più antiche attestazioni toponomastiche risalgono al XV sec. e sono contenute negli Statuti della Curia di Sermide, corpo di leggi concesse durante il capitanato dei Bonacolsi nel 1313, trascritto e pubblicato da G. Mantovani nel 1887 a cui si rimanda.

(2) Gaetano Mantovani, Il Territorio Sermidese e limitrofi, 1886, Bergamo Stab. Fr. Cattaneo

Il Mantovani fa riferimento a tre iscrizioni, che trascrive, collocate sotto gli affreschi dell’abside. Nella sua trascrizione cita “l’anno MDXXIII nel tempo delli signori marchesi di Mantova Ferdinando Francesco di Gonzaga” testo non più leggibile e comunque utile per datare il ciclo absidale degli affreschi.

(3) Una traduzione dell’iscrizione da parte di Primo Mattioli e Giovanni Freddi è presente in Giovanni Freddi, Sermide 1998 - Quindici Secoli di Storia, tip.L. Cabria, Castelmassa (RO).

(4) G. Freddi, Felonica Storia-Documenti, ed. Arte-Stampa, Urbana 1996.

(5) G. Mantovani, op. cit.

(6) ASDMn, FCV, Visite Pastorali, Card. Ercole Gonzaga, 1544, pubblicata in

      R. Rutelli, Le prime visite pastorali alla Città e Diocesi, Mantova, 1934

(7-8) S. Savoia, op. cit.

(9) Ida Muzio, Sermide (dal 2000 a.C. al 1946 d.C.), Ferrara, 1946

(10) Si veda l’intervento di E. Malagò sul restauro degli affreschi in S.Savoia, op. cit.

(11) Giuse Pastore, Gli affreschi di Santa Croce a Sermide, in S. Savoia, op. cit.

      -A. Portioli “ Le chiese dipinte del mantovano, Mantova, 1882

      -V. Matteucci, Le chiese artistiche del mantovano, Mantova 1902

      -F. Amadei, Cronaca universale della città di Mantova, Mantova 1955

(12) Giuse Pastore, op. cit

(13) M. Palvarini Gobio Casali, Il “Compianto di Santa Croce”, in La chiesa di Santa Croce in

        Lagurano op. cit. e La ceramica a Mantova, Ferrara 1987

(14) Via Passionis-Itinerario fra arte e fede in quattordici stazioni (sculture di A. Jiori, meditazioni e preghiere di M. Mani, Progetto e commento iconografico di S. Savoia), La Kabbalà, MMII

Fonti fotografiche:

.Archivio Enrico Bresciani


Diocesi di Mantova